L’apertura del Sempione dopo il 1180 e prima del 1200 e la nascita della via Francisca del Novarese
a cura dello storico Battista Beccaria

Se all’inizio del 1200 il Sempione era già battuto da viaggiatori, e soprattutto da grandi commercianti e da someggiatori, doveva risalire almeno agli ultimi decenni del Millecento. La prima mulattiera del Sempione fu, allora, costruita, con tutta evidenza, dopo la pace di Costanza e prima del marzo 1200. Esattamente tra i cinquanta e i trentacinque anni prima dell’apertura del Gottardo! Finora si era convinti che il Sempione fosse – al contrario – stato allestito solo dopo l’apertura del Gottardo, anche se la testimonianza di un hospitalis, come già funzionante sul valico, è attestata fin dal 1235, incidentalmente richiamata in un atto di compravendita di una vigna pertinente all’Ospizio del Sempione. E qui assistiamo alla nascita della medievale via francisca novarese, che raccordava il transito proveniente dal Sempione con quello della via francigena la quale, all’altezza di Lomello, portava a Roma i pellegrini diretti sulla tomba dell’apostolo Pietro e, proseguendo oltre Roma, conduceva ai porti pugliesi, dove ci si poteva imbarcare per la Terrasanta.

La Pace di Buccione ed il contesto socio-politico dell’“invenzione del Sempione”, via di negotiatores lombardi – novaresi e milanesi – verso le grandi fiere del Nord Europa
A partire dalla Pace di Costanza (1180), dopo la sconfitta dell’imperatore Federico I Barbarossa e, insieme, della feudalità vassallatica sua alleata alla battaglia di Legnano, i Comuni del Nord Italia rialzano la testa. Nel giro di poco meno di trent’anni (tra 1170 e 1200 circa) la composizione sociale ed economica dell’aristocrazia comunale cambia strutturalmente. Non è più il vescovo coi suoi vassalli in capite o “capitanei” e con i suoi più stretti collaboratori (l’Advocatus Ecclesiae, il vice dominus, il confanonerius, ecc.), non è più la classe feudale dei proprietari della terra a dominare in città, ma la nuova classe rampante ed attivissima della borghesia: commercianti, artigiani, imprenditori, prestatori di denaro. Il vescovo cittadino – prima della battaglia di Legnano autorità indiscussa giurisdizionalmente, sia nell’amministrazione della giustizia che nelle decisioni politiche ed economiche della comunità civica – perde potere e capacità decisionale a favore delle nuove autorità che gli si sono dapprima affiancate e poi l’hanno sovrastato ed esautorato delle sue più importanti prerogative. Mi riferisco ai Consoli maggiori del Comune, ai Consoli di Giustizia, ai Consoli delle varie corporazioni artigiane e commercia- li, detti “Paratici”. Verso il 1170, a Novara, ai Consoli maggiori o de Comuni, in taluni particolari anni, si sostituiscono poi anche i Podestà, che provengono da altre città alleate e durano in carica un anno. Il Podestà viene chiamato quando le fazioni cittadine sono in lotta fra loro e si rischia una paralisi politico-amministrativa del Comune. Poi, quando le acque sono di nuovo tranquille, ritorna a funzionare la “repubblica comunale” coi suoi Consoli de Comuni, de Iustitia e Paraticorum. Al vescovo, nel giro di pochi decenni dopo Legnano, rimangono prerogative puramente onorifiche, ma svuotate oramai di ogni contenuto decisionale. Egli, inoltre, rimane e deve rimanere pur sempre fedele all’imperatore, a cui è legato da giuramento vassallatico, essendo la Chiesa a cavallo dei secoli XII-XIII una Chiesa ancora imperiale, dove i vescovi sono scelti ed eletti col beneplacito dell’imperatore, cui devono obbedienza e omaggio. In città l’insofferenza verso la vecchia classe dirigente del vescovo e della feudalità vassallatica, detentrice del latifondo e dell’honor et districtus su rustici e comunità rurali, oltre che fruitrice di numerosi privilegi, cresce di anno in anno, finché la nuova classe dirigente imprenditoriale e più dinamica la esautora del tutto ed il vescovo è costretto ad esulare dalla città e a rifugiarsi nella sua – di lì a poco – Signorìa episcopale della Riviera d’Orta. Anche la vecchia feudalità dei conti (i Da Castello, i Da Crusinallo, i conti di Biandrate) e dei loro vassalli e valvassori, sconfitti più volte (insieme col vescovo) in guerricciole contro le pretese sempre più invadenti del Comune borghese, devono battere in ritirata e spostano i loro centri di potere e di interesse economico sulle Alpi, a cavallo della Valsesia, dell’Alta Ossola e tutt’intorno alla catena del Monte Rosa. In genere conti, grandi abbazie (Arona) e importanti Capitoli canonicali (San Giulio d’Orta) si contraddistinguono soprattutto come grandi proprietari e allevatori di bestiame. Nel frattempo, in città alcuni Paratici – come quello dei calzolai, dei pellicciai, dei sellai, dei macellai, oltre che quello più variegato dei negotiatores, ovvero dei grandi commercianti – diventano talmente ricchi e potenti da dettare coi loro Consoli delle arti (i Paratici appunto), le linee-guida politiche del Comune. E da imporre guerre per l’espansione imperialistica su tutto il territorio dell’episcopato novarese e guerre contro le città vicine (nel caso Vercelli) concorrenti nell’espansione sui territori della Valle Sesia e nei commerci. La cosiddetta “Pace di Buccio- ne”, più che una pace fu un diktat del potente Comune di Novara nei confronti delle consorterie dei conti Da Castello e dei Conti da Crusinallo, nonché del vescovo Pietro IV, sconfitti dall’esercito comunale. Novara e la sua nuova borghesia volevano via libera per valicare le Alpi dell’Ossola verso i grandi mercati europei. Oltre alle clausole politiche, che qui non ci interessano, sono emblematiche e illuminanti le clausole commerciali. La potente corporazione dei calzolai – e, in subordine, dei pellicciai, dei sellai, insomma dei cuoiai – si arroga il monopolio del commercio di tutti gli articoli in pelle e cuoio, soprattutto calzature che vengono esportate in tutta Europa. A tal fine, vuole via libera verso i transiti alpini che portano verso le grandi fiere internazionali della Champagne e, attraverso Basilea, verso i mercati nordici dell’Alsazia, della Lorena e della Lega anseatica. Due anni dopo la “Pace di Buccione” (marzo 1200) con vescovo, conti Da Castello e conti Da Crusinallo, il Comune di Novara mette di fronte ai suoi diktat, questa volta, i conti di Biandrate, ma per altre ragioni economiche, e cioè gli sbocchi verso la Valle Sesia e soprattutto l’accaparramento dell’acqua del fiume Sesia. Siamo alla “Pace di Zottico” (1202), anche questa stipulata, come quella di Buccione, in un prato! L’impero politico e territoriale di Novara si estende, oramai, fino a comprendere metà dell’antico episcopato novarese, lungo una linea ideale che parte da Romagnano Sesia, attraversa Gozzano e arriva ad Arona! Per raggiungere i passi transalpini dell’Ossola che portano verso il quadrante commerciale centro-occidentale europeo, bisogna però attraversare i territori del lago d’Orta sotto il dominio del vescovo di Novara, dalla Baraggia di Gozzano fino alle porte di Omegna; da Omegna a Gravellona Toce la strada è controllata dai conti Da Crusinallo, padroni anche di tutta la Valle Strona; più a nord di questi ultimi il dominio spetta ai conti Da Castello e ancora una volta al vescovo, che controllano anche gli alpeggi posti lungo la catena delle Alpi Lepontine. La Pace di Buccione impone, ai tre detentori di giurisdizioni feudali su tutti quei territori, libero passo verso l’Oltralpe per i commercianti e someggiatori novaresi diretti nel Vallese e, da lì, o verso Ginevra e Pontarlier o verso Basilea, e cioè verso la Champagne e verso la Renania. Quei Signori (definiti domini e non più comites) devono lasciare passo libero senza impedimenti o dazi di sorta ai novaresi. Ma di più, devono proteggere uomini e merci diretti al di là delle Alpi o anche solo diretti verso i mercati di Pallanza e Domodossola. Se un commerciante novarese viene derubato, malmenato o ucciso su uno di questi tratti del suo percorso verso Nord, i conti ne sono ritenuti, sia pure indirettamente, responsabili. O catturano i malviventi, ed en- tro quaranta giorni li giudicano e li impiccano alle forche poste (a monito) su un crocevia del percorso, o li consegnano entro quaranta giorni ai Consoli di giustizia di Novara. E dovranno, in ogni caso, rifondere di tasca propria le merci rubate ai trasportatori e someggiatori novaresi diretti Oltralpe.
L’invenzione del Sempione
E qui veniamo al nocciolo della questione che ci riguarda più da vicino. Da dove passavano, nel 1200, al tempo del trattato di Buccione, i negotiatores novaresi per raggiungere le fiere della Champagne francese o i mercati nordici posti sulla direttrice del Reno? Fino ad ora si pensava che il primo passo aperto attraverso le Alpi Centrali fosse stato il Gottardo, con una data ben precisa, il 1235. Il Sempione sembrava invece impraticabile a causa delle Gole di Gondo, che formavano un canyon (occupato dalla Diveria) invalicabile e intransitabile – e soltanto aggirabile con lunghi e disagiati percorsi o verso il Monscera o verso Bugliaga e Trasquera – in ogni caso molto difficoltoso per uomini, bestie e grossi carichi di merci! Di più, per raggiungere Briga c’erano inoltre le Gole della Saltina, altro punto cruciale per i transiti con merci ingombranti. Ma proprio la medesima pergamena, che ci snocciola le condizioni imposte dal Comune novarese alla vecchia feudalità locale sconfitta, ci rivela la precoce esistenza di una mulattiera che porta proprio attraverso le Gole di Gondo, fino all’altipiano del Sempione da dove si comincia a scendere verso Briga, superando anche le Gole della Saltina. Il documento ci parla di via che dal Devero porta fino a Latinasca. Ora Devero, nel Medioevo, non connotava l’Alpe oggidì così denominata, la quale sovrasta Baceno e Croveo, ma era sinonimo di Valle Diveria o Valle Divedro (da una radice – dvr – che significa passo, valico, punto di transito). Latinasca, poi, era posta all’altezza dell’attuale Algaby, sulle pendici meridionali del Passo del Sempione. Anzi a Latinasca (Algaby) correva il confine tra la Signorìa dei vescovi di Novara sull’Ossola e la Signorìa dei vescovi di Sion sul Vallese. I commercianti novaresi, per bocca del loro potente Comune, chiedevano libero transito fino a Latinasca, dopodiché avrebbero fatto patti e convenzioni di passaggio di uomini, animali e merci con l’autorità vallesana e cioè il vescovo di Sion, conte e Signore del Cantone elvetico e della Valle superiore del Rodano. Molti degli alpeggi che stavano attorno o vicino a questa mulattiera erano di proprietà e giurisdizione sia dei conti di Biandrate, sia dei conti Da Castello, sia dei Signori di Aosta-Ornavasso, sia di un sottobosco di piccola feudalità legata vassallaticamente ai vescovi di Sion.
Luigi Zanzi ed Enrico Rizzi, nel loro valido e poderoso lavoro sul Sempio- ne, editato per i tipi della Fondazione Monti, ipotizzavano che il Sempione fosse stato aperto verso la metà del Duecento, più o meno in contemporanea o qualche decennio appena dopo il Gottardo. Come per quest’ultimo passo, aperto dai commercianti milanesi per raggiungere sia la Germania che la Renania franco-tedesca, i due Autori ipotizzavano lavori arditi, con ponti del diavolo a schiena d’asino su baratri, e passerelle fissate a pareti a strapiombo su forre e gole, per rendere transitabile i tratti più impraticabili della via alpina. Allo stesso modo i Walser avrebbero allestito passerelle e ponti a schiena d’asino per superare le Gole di Gondo e le Gole della Saltina sull’altro versante del Sempione. Il presupposto era che il Sempione fosse stato aperto solo a metà del secolo XIII, quando la montagna che separa le due pianure di Domodossola e di Briga era stata popolata, sul versante Sud dai conti di Biandrate e dai Da Castello nella sua parte iniziale, e dagli Aosta-Ornavasso nella parte superiore, con coloni walser. Ma i primi Walser giungono sul passo e sui suoi alpeggi solo a partire dal 1246, non prima. E la mulattiera di valico viene aperta dopo il 1180 e prima del 1200, dunque ben prima dell’insediamento dei Walser. Non sono i Walser, validi lavoratori ma servi della gleba, ad allestire il Sempione, sono ben altre potenze economiche interessate alla cosa. Non si può, infatti, capire il Sempione senza pensare a Milano, Novara, Domodossola, Ginevra, Lione, Basilea e le città commerciali del Nord Europa.
A favorire l’apertura di questa strada europea dei traffici è la borghesia delle grandi città commerciali, Milano in primis. A Milano confluivano le merci da Venezia e Firenze, per poi essere dirottate verso l’Oltralpe. Anche Novara, con la sua industria del cuoio e del pellame, aveva bisogno di sbocchi internazionali. Il Sempione dunque non è un’invenzione dei Walser, è un’invenzione piuttosto di Milano e di Novara sul versante sud e di Sion, Ginevra e Lione sul versante nord. I Walser vi verranno insediati solo mezzo secolo dopo, dai Biandrate, dai Da Castello e dagli Aosta Ornavasso, nonché dai vescovi di Sion, per popolare gli alpeggi della montagna e per gestire la manutenzione ed i servizi essenziali della nuova strada commerciale. Ma sui Walser e sul momento della loro venuta a sud delle Alpi solo verso la metà del XIII secolo e non prima, anche se il clima si era già riscaldato subito dopo l’Anno Mille. Grazie all’industria del cuoio a Novara, ci sarà un risucchio quasi totale della manodopera italofona dai villaggi alpini verso le vicinanze di Novara, per accudire il bestiame là stabulato, attirati questi montanari cow-boy con guarentigie e trattamenti di lavoro più remunerativi. Il che richiederà per i “Signori delle montagne” un ricambio immediato di manodopera stavolta, per così dire, extracomunitaria – per le loro periodiche transumanze di bestiame – i Walser appunto!
Nascita di una via francisca novarese verso Lomello-Genova
Nasce così, contestualmente con l’apertura del Sempione, la via francisca novariensis che, partendo dalla Valle Divedro e dall’Ossola, arriva dapprima a Novara, per potersi diramare verso Milano a est, verso Vercelli a ovest, e per poi proseguire a sud verso Lomello, altro crocevia per Pavia-Piacenza-Roma, ma anche per Tortona-Genova-Ventimiglia e Arles, nella Provenza. Uno studio scientifico ed interdisciplinare della via francisca attende ancora di essere compiuto. Un incontro di archeologi, di storici del territorio, di storici della Chiesa, di storici delle fortificazioni e di studiosi di altre discipline, si è svolto nel 2018 al convento del Monte Mesma, patrocinato dall’Associazione Cusius in collaborazione con l’Associazione di Storia della Chiesa Novarese, della rivista “Le Rive” e di altre associazioni sia storiche che non. In quell’incontro, si è scelta, come “linea – guida”, per uno studio collettivo che possa poi sfociare in una ponderosa pubblicazione interdisciplinare, proprio la via francisca novarese. Troppi ciarlatani, sotto mentite spoglie di improvvisati storici – in recenti Interreg svizzero-italo-piemontesi – hanno fabulato di “via di Carlomagno”, di “via degli Abati di Disentis” che sono poi sfociati – com’era da prevedere – in cene medioevali, in serate con affabulatori tuttologi, in fuochi d’artificio e in altre amenità! Qui si vuole invece allestire un lavoro serio, un progetto veramente “culturale”, dove collaboreranno coralmente specialisti delle varie discipline, i quali sono in grado di illustrare questo itinerario nella sua storia secolare, nei suoi monumenti artistici, nelle sue pievi e chiese, nei suoi castelli e torri, nelle opere letterarie che ne trattano ed in altri numerosi aspetti ancora. Abbiamo a disposizione uno stuolo di specialisti in ogni settore di ricerca.
Ci sarà preliminarmente da chiarire problemi ancora sub iudice. Come per esempio se la via francisca novarese sia da ritenersi una succedanea di una più antica strada gallo-romana, chiamata (impropriamente) dagli eruditi dell’Ottocento via Septimia , a sua volta ricalcante un più antico tratturo protostorico d’epoca celtica. C’è poi da rivedere completamente la ricca bibliografia scritta dai nostri padri – ma anche da molti nostri colleghi contemporanei – sulla direzione esatta tenuta e sui centri medioevali toccati da questa importante arteria nostrana ricordata pure negli Statuti di Novara..
Se per la via francisca abbiamo visto che rimane tutto o quasi da rivedere e riscrivere, cosa dire del Sempione? Su questo valico alpino posto lungo la catena delle Lepontine, che unisce Piemonte e quadrante Centro-Occidentale dell’Europa, si è scritto e detto di tutto e di più. E si è anche fatto di tutto e di più. Se facciamo eccezione per Luigi Zanzi e per Enrico Rizzi che, non conoscendo questa pergamena del marzo 1200, hanno scritto due ottimi saggi sul Sempione – postponendone però l’apertura a quella del Gottardo, o almeno ipotizzando che il Sempione fosse più o meno contemporaneo a quest’ultimo – per il resto hanno individuato molto bene la sua funzione di collegamento fra Milano – e, attraverso Milano, di Venezia e delle città toscane – con Ginevra, le fiere della contea di Champagne e Lione da un lato, e con Berna, la Renania e i mercati della Lega Anseatica dall’altro. Un altro peccato veniale, ma comprensibile dato il loro tradizionale presupposto di fondo, e cioè che i Walser sono “i civilizzatori delle Alpi”, è l’aver attribuito l’apertura di questo passo, appunto, ai Walser. Ma i primi Walser vi arriveranno solo verso la metà del XIII secolo, insediativi, lungo il suo percorso alpino volto a sud, dalla grande feudalità sconfitta dai Comuni e ricacciata sulle Alpi: i conti di Biandrate, i conti Da Castello, i Signori di Aosta-Ornavasso. E, per altro verso, sul versante nord, collocativi dai vescovi di Sion, Signori del Vallese, come manutentori della mulattiera e prestatori d’opera nei trasporti delle merci e nei servizi di ospitalità per i commercianti e i pellegrini in transito. Sono le grandi e ricche corporazioni mercantili di Milano e di Novara, insieme con quelle delle città dell’altro versante alpino, che promuovono e finanziano un’opera cosi ardita e imponente. I lavori per superare le Gole di Gondo e le Gole della Saltina devono aver richiesto ingenti capitali di investimento, per costruire ponti a schiena d’asino e passerelle in assito fissate alle rocce a strapiombo sulle gole, altrimenti invalicabili. Porto, a supporto, qualche esempio. La Corporazione dei calzolai (paraticus calicariorum) di Novara è talmente ricca che, da sola, nel Medioevo, finanzia la costruzione dell’Ospedale di San Giuliano e crea coprendo con tettoie l’attuale Piazzetta delle Erbe – il cosiddetto “Coperto dei calzolai”, un vero e proprio ipermercato medioevale degli articoli in cuoio.Ma è anche quella che esporta calzature, borse e selle per cavalcature in mezza Europa! L’altra corporazione, quella dei pellicciai (paraticus pelipariorum) non è ricca proprio come quella dei calzolai, ma ci sta subito dietro. Anche questa esporta Oltralpe i sui prodotti. A Novara vi è poi un nutrito gruppo di macellai (paraticus beccariorum) che lavorano le carni del bestiame macellato per ottenerne il pellame e il cuoio. La carne in eccesso viene salata e venduta sui mercati dei borghifranchi novaresi, da Borgomanero e Borgoticino fino a Pallanza e Domodossola! Ma, dopo la Pace di Buccione, anche sui mercati di Gozzano, Omegna, Gravellona Toce e Mergozzo. Sono dunque le grandi Corporazioni mercantili a prendere l’iniziativa di aprire una nuova via per i commerci e a metterci i capitali necessari, non i Walser. I Walser sono ancora servi della gleba per tutto il XIII secolo, soggetti in toto ai loro Signori feudali. Sono gli ultimi schiavi (servi) del Medioevo. Mentre la schiavitù della gleba medioevale tramonta nell’Italia Settentrionale ad opera dei Comuni e dei loro borghifranchi, sulle Alpi perdura almeno fino alla fine del XIII secolo. Il servo della gleba si può vendere come si vende il bestiame. Nel 1257 Guglielmo Da Castello-Mörel vende a Jocelino Da Castello, vicedominus del vescovo di Sion, tutti i suoi uomini nella Valle del Sempione. Nel 1267 Pietro di Aosta ottiene per sé e per tutti i suoi eredi (gli Ornavasso) il patronato della chiesa di Simplon Dorf, in quanto gli abitanti del villaggio sono sue “pertinenze”, cioè sue proprietà. Nel 1291 Jocelino di Biandrate si appella al diritto di rivalsa ereditaria per invalidare la vendita della Signorìa e degli uomini del Sempione fatta dallo zio Marzone Da Castello a favore del vescovo di Sion. Gli ultimi servi della gleba novaresi – gli uomini di Cannero e Oggebbio – sudditi e schiavi dei canonici del Duomo, sono resi liberi dal Comune di Novara agli inizi del Duecento (1214). I Walser non sono “superuomini” che civilizzano le Alpi di loro iniziativa, sono servi, schiavi della gleba che vengono utilizzati dalla sopravvissuta feudalità per essere adibiti a lavori duri in ambienti ostili, almeno per tutto il Duecento, soprattutto sul versante nord delle Alpi. La loro redenzione e le loro condizioni di vita e di status sociale miglioreranno solo con l’emigrazione sul versante sud della catena alpina, dove i Comuni dell’Italia Settentrionale hanno oramai mutato strutturalmente la condizione sociale anche delle fasce più umili della popolazione (gli humiliores). Per utilizzarli sul versante sud delle Alpi e ripopolare villaggi abbandonati dalla manodopera italofona, conti e Signori degli alpeggi d’alta quota devono loro concedere libertà e condizioni di vita migliori. È, infatti, dalla metà del Duecento che questi emigranti delle alte montagne fanno patti e contratti, da uomini oramai liberi, coi loro nuovi padroni, che li insediano a sud della catena alpina, in zone montane a contatto stretto con i possessi fondiari del Comune novarese il quale – nel frattempo – è riuscito a dilagare fino all’estremo nord dell’antico territorio dell’Episcopato gaudenziano!

A riguardo ancora del Sempione, fra gli storici novaresi, ci sono state due scuole di pensiero, agli antipodi fra loro. C’era chi giurava che i Romani vi transitavano già dai tempi dell’Impero. C’era chi, sbeffeggiando i primi, giurava, a sua volta, che il Sempione era cominciato ad esistere da Napoleone in poi, ignorando persino il barone Kaspar Jodok Stockalper 1609-1691). I Romani non hanno mai attraversato il Sempione, ma hanno sempre e solo frequentato tre vie sulle Alpi: il Brennero in Sud Tirolo, il Gran San Bernardo in Valle d’Aosta e un valico in Val di Susa, attraverso Susa e Ocelum (da non confondere con Oscela), da dove passava la via Domitia diretta verso la Spagna . Questa terza via è testimoniata sia dall’Itinerarium Antoninianum, sia dall’Itinerarium Burdigalense, sia dai (sei) “bicchieri di Vicarello”. Del tutto fantasiosa e fuor di luogo, dunque, quella “Mostra sul Sempione in epoca romana”, tenutasi a Ornavasso anni fa, a cura dell’allora Soprintendente ai beni Archeologici del Piemonte, Filippo Maria Gambari e aiuti, che si intitolava – scimmiottando il nome di Simplon – In Summo Plano. I Romani lassù non ci hanno mai messo piede, anche perché, se avessero tentato di attraversare le Gole di Gondo con un esercito, sarebbero affogati o, quantomeno, si sarebbero bagnati i piedi nella Diveria. Inutile dire che anche l’altra ala estremista di storici, che vedevano in Napoleone l’unico artefice del Sempione, avevano altrettanto torto dei primi. Il Sempione, nella sua prima edizione di semplice mulattiera, è un manufatto medievale e ora sappiamo pure datarlo con quasi precisione. Non prima del 1180, cioè della Pace di Costanza fra i Comuni e l’imperatore, non dopo il 1199, perché nel marzo 1200 è testimoniato come già frequentato dai commercianti novaresi diretti ultra montibus. La pergamena della “Pace di Buccione” taglia la testa al toro.
